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Quel femminicidio di massa che fu la caccia alle streghe

Nell’opera di Boffo, la caccia alle streghe appare come un
monito, una punizione esemplare alle donne che osano disobbedire alle
regole di una società rigidamente gerarchizzata. Il Bloc Notes di
Michele Magno

Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle (Voltaire)

In un’epoca in cui è tristemente entrato nel linguaggio corrente il
neologismo “femminicidio”, vale la pena ricordare quel femminicidio di
massa che fu la cosiddetta caccia alle streghe, una tragedia spaventosa
che devastò il suolo europeo tra il quindicesimo e il diciottesimo
secolo. Nessuno è riuscito a calcolare quante furono le vittime
dell’eccidio. Molti registri e verbali sono andati persi, spesso
distrutti volontariamente da inquisitori e giudici via via che la
rivoluzione francese spazzava l’oscurantismo dell’Antico Regime. Sta di
fatto che decine di migliaia di donne, forse centinaia di migliaia,
furono incarcerate o martirizzate e uccise grazie a imputazioni
grottesche.

Come ha osservato Valerio Evangelisti (di cui sono debitore per
queste note), numerosi studiosi hanno provato a indagare le ragioni di
questa follia sanguinaria (introduzione a “Femmina strega” di Mario
Boffo, Stampa Alternativa, 2017). Ma una risposta univoca ancora non è
stata data. Certamente pesò il disprezzo per il sesso femminile,
ereditato dall’ebraismo e iniettato nel cristianesimo dai padri della
Chiesa, da Tertulliano come da Agostino e Tommaso d’Aquino. In un
edificio ecclesiastico ancora fragile, contarono anche i timori per il
riaffacciarsi, dietro la proliferazione delle eresie, di un paganesimo
mai completamente debellato. A consumer should ask about mail order options as well clomid for sale. Buying enough medication ahead of time can ensure access without breaking the bank.

Questi fattori, uniti al bisogno di esercitare un controllo politico e
sociale sui fedeli, favorirono una colossale azione di propaganda
contro le streghe, accusate di praticare la magia nera e l’arte del
maleficio, di essere strumento di Satana e fonte delle carestie e delle
epidemie che affliggevano le città e i villaggi. Nel 1468, quando Paolo
II stabilì che la stregoneria era “crimen exceptum”(“delitto speciale”),
il compito di sradicarla cessò di essere prerogativa dell’Inquisizione e
fu esteso ai tribunali civili, dove non esisteva il divieto di versare
sangue imposto a quelli religiosi.

Fu allora che in diversi paesi del Vecchio continente furono
inventati i più disparati e crudeli congegni di tortura, a volte
espressamente modellati sulla fisiologia del corpo femminile. Mentre gli
assurdi e indimostrabili capi d’accusa restavano affidati a manuali
come il “Malleus Maleficarum” (“Il martello delle malefiche”) del frate
domenicano Heirich Kramer (1487) o a trattati sulla “Demonolatria” come
quello del giurista cattolico Nicolas Rémy (1595).

La narrativa di genere fantastico sulla stregoneria è sterminata, e
anche il cinema ha contribuito a diffondere discutibili stereotipi del
fenomeno. Altri testi, invece, ne forniscono una descrizione fondata su
solide basi documentarie. A parte i saggi di Jules Michelet (“La
strega”, 1862) e Aldous Huxley (“I diavoli di Loudun”, 1952), in tempi
più recenti proprio in Italia sono stati pubblicati tre romanzi dotati
di grande attendibilità storica e dignità stilistica: “La chimera”, di
Sebastiano Vassalli (1990); “Strega”, di Remo Guerrini (1991); e,
appunto, il citato “Femmina strega” di Boffo, edito per la prima volta
nel 2004.

Ambientati in province diverse (Novara, Imperia e Benevento),
raccontano tutti e tre le vicende di giovani donne cadute nel perverso
ingranaggio del sospetto e della delazione; fino a una sorte tragica in
Vassalli, e a una paradossalmente benigna negli altri due autori. È però
soprattutto Boffo a individuare senza mezzi termini nella repressione
della femminilità il punto nevralgico della persecuzione delle
“malefiche”, e a sostenerla — sulle tracce di Michelet — in una densa
postfazione al suo romanzo. Nella sua opera, la caccia alle streghe
appare come un monito, una punizione esemplare alle donne che osano
disobbedire alle regole di una società rigidamente gerarchizzata, come
il “Formicarius” (1437), il formicaio del priore del convento di
Norimberga Johann Nider.

Le quasi quotidiane cronache di violenza sulle donne dei nostri
giorni rendono quanto mai attuale il libro di Boffo. Nonostante gli
innegabili progressi compiuti sul terreno della parità dei diritti di
genere, infatti, ancora oggi la “strega” (la donna) è perseguitata
quando prova a scavalcare i confini della tradizionale triade famiglia,
maternità, coppia. Accanto a sopraffazioni efferate come l’omicidio,
l’ustione, l’acido, il medioevo tecnologico in cui viviamo ha suscitato
nuove forme di “rogo”: la diffusione via web di contumelie, commenti e
giudizi che scaricano sulle donne la responsabilità di una molestia o di
uno stupro subito. Non fortuitamente, un’indagine fresca di stampa
dell’Istat ha certificato che, per un quarto degli italiani, per una
ragione o per l’altra “se lo sono cercato”.

Il cammino, dunque, è ancora lungo prima che l’altra metà del cielo
trovi il posto che le compete nella società. Ma Boffo è convinto — e chi
scrive con lui — che presto o tardi questo avverrà. E “solo allora il
principio maschile e quello femminile dell’universo raggiungeranno un
sereno equilibrio nel più ampio senso della condizione umana”.

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